Le res gestae di Giuliano il Grande
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Nato ad Antiochia, greco-asiatico, soldato per molti anni, neoplatonico stoicizzante, Ammiano Marcellino scriveva in latino ma pensava in greco. Ultimo grande storico nella tradizione latina, Ammiano continuò le storie di Tacito con trentun libri, dalla morte di Domiziano in poi. Restano gli ultimi diciotto, fra il 353 dominato da Costanzo e Gallo, e il 378, con il disastroso Valente e la battaglia d’Adrianopoli che dà all’opera una triste chiusa. [...] I fatti sono raccontati con scrupolo di verità (Ammiano è, per comune consenso che dura ancora oggi, uno storico serio, attendibile e, nel complesso, abbastanza imparziale), ma coi modi della creazione artistica [...].
Ammiano è conosciuto dai più come storico abbastanza equanime di un grande personaggio la cui figura turba anche l’immaginazione dei posteri. E l’Imperatore Giuliano, l’unico che Ammiano ammiri. [...] Costanzo Augusto se lo associa, col titolo di Cesare, ponendolo al governo delle Gallie in subbuglio. Giuliano le pacifica e le sue imprese vittoriose danno ad Ammiano l’occasione di inserire nelle sue Storie un altro e minore De bello Gallico. Non era ancora Imperatore, che già si diceva di lui, come Ammiano racconta, che era un Tito per la prudenza, un Traiano per la gloria bellica, un Antonino Pio per la clemenza e un Marco Aurelio per la disciplina virtuosa. Salito fortunosamente sul trono, vi resta meno di due anni, e muore a trentadue. Ripristina, l’ultima volta, il culto degli dèi come religione di Stato; è l’impresa che gli conferisce una celebrità perpetua. [...]
Sul campo, condivide il pasto dei soldati, accontentandosi, se occorre, di ‘un piattino di polenta’. Domina con l’autorità e si trascina dietro in deserti torridi, da una battaglia all’altra, soldati senza paga. Sa dire ai soldati scontenti, prima della battaglia, che l’Impero romano è diventato, da ricchissimo, poverissimo; anche l’Imperatore è povero; deve esigere molto e dare poco in cambio. La colpa è dei vili che hanno smunto le casse dello Stato per comprare la pace ai barbari. Perciò occorre combattere, non fare concessioni ai barbari, sperare soltanto nei premi conquistati con le armi. [...]
Se non vi fosse stato Ammiano, conosceremmo poco la grande figura di Giuliano, o la conosceremmo nelle deformazioni dei suoi avversari (culminanti nella leggenda del ‘Galilaee, vicisti!’). Per quanto i successori l’abbiano immediatamente tradito, Giuliano per Ammiano resta esemplare, anche se gli fa alcune critiche per impegno di oggettività. Ammira in lui il soldato, il filosofo, il capo intransigente nella difesa dell’Impero, di territori e valori di religione e di cultura. [...] Quello di Ammiano è un paganesimo senatoriale aristocratico e universitario; resisteva in centri di studi come Roma e Alessandria e nella parte colta dell’aristocrazia senatoriale in Roma. [...] Ammiano nomina con ammirazione senatori pagani come Simmaco e Pretestato; se nomina i cristiani, il suo tono è oggettivo. Da buon pagano di quel secolo, accettava ogni genere di spiritualismo sincero, qualunque fosse il simbolo del quale si rivestisse il sacro.