Fiume trincea d'Italia - Pietro Cappellari
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Il 27 Gennaio 2014, tra il silenzio generale, è ricorso il 90° anniversario dell’annessione alla Madre Patria di Fiume. Davanti a questo evento ci è parso giusto ripercorrere la storia di quegli anni, cercando di riportare l’analisi dell’impresa dannunziana al centro di una nostra riflessione, superando schemi preconfezionati o interpretazioni cristallizzatesi nel duello “pro” o “contro”. Soprattutto, presentando il fiumanesimo – l’espressione politica di quell’esperienza rivoluzionaria – come una delle più originali componenti di quel complesso mondo che fu il “diciannovismo”.
Il diciannovismo – da non confondere con il nazionalismo propriamente detto – fu l’evoluzione politica dell’interventismo di sinistra come sviluppatosi nel 1915. Repubblicani, socialisti, anarco-interventisti, sindacalisti rivoluzionari, all’indomani della Grande Guerra, si trovarono proiettati in una nuova dimensione politica in cui il valore della Nazione si elevò a valore centrale, fondendosi con la tradizionale rivendicazione di una più vera ed alta giustizia sociale. Questa eterogenea galassia della sinistra nazionale – repubblicana, anticlericale e antisocialista – produsse quattro movimenti caratteristici del diciannovismo: il futurismo politico, l’arditismo, il fascismo e, per l’appunto, il fiumanesimo.
Se si deve trovare un minimo comune denominatore che possa identificare l’impresa di Fiume nel suo complesso, questo certamente non può essere cercato una precisa ideologia politica, neanche in quella sindacalista rivoluzionaria che pure tanto contraddistinse quella esperienza, ma in una somma di valori pre-politici e apartitici che mossero tutto un “mondo umano” verso Fiume. Si può discutere se fu un acceso patriottismo o, più correttamente, un nazionalismo-individualista a spingere quel “mondo umano” a compiere l’impresa, ma certamente è questo il dato di partenza per comprendere l’essenza dell’occupazione dannunziana di Fiume. Perché è proprio su questa base comune che si ritrovano personaggi antitetici che pure rappresentarono il fiumanesimo nella sua complessità. La figura carismatica di d’Annunzio assolse la funzione di tenere unite queste diversità proprio perché rappresentò l’incarnazione di questo “nazionalismo anarchico”.
D’Annunzio, in quell’Estate 1919, fu colui che riuscì a tramutare in atto concreto quella “tentazione golpista” che si era sempre più diffusa nelle sfere militari e di cui si facevano propagandisti i nazionalisti. Riuscì a far convergere sulla sua persona anche tutti quei diciannovisti che si proponevano, da sinistra, l’abbattimento del Governo e – in molti casi – anche della Monarchia. La sintesi dei due estremi (nazionalismo e diciannovismo) fu trovata nella rivendicazione di Fiume italiana come progetto eversivo antigovernativo.
Essendo il fiumanesimo finito con la caduta della Reggenza (Natale di Sangue del 1920), fu il fascismo – ed in particolar modo lo squadrismo – ad ereditare quella visione del mondo e quel modo d’agire proprio di quella esperienza.
Il 28 Ottobre 1922, quei propositi eversivi ereditati dall’esperienza fiumana e assimilati dallo squadrismo, porteranno le camicie nere al potere. Anche in questo caso, il richiamo all’impresa fiumana non fu secondario e non fu limitato ai fascisti che insorgevano.