Carlo De Risio - Nel segno del sol levante
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La comunanza degli obiettivi strategici rafforza, in guerra, una coalizione; la mancanza, contribuisce a dissolverla…
È quello che accadde (a parte la distanza tra i rispettivi teatri di operazione) agli alleati del Tripartito: Germania, Italia e Giappone. Perché ciascun partner condusse una guerra per proprio conto, senza alcun coordinamento con gli altri due.
Mussolini, aggredì la Grecia, destabilizzando i Balcani che Hitler avrebbe voluto mantenere tranquilli. Poiché la Wehrmacht dovette intervenire con forze consistenti, l’inizio della “Operazione Barbarossa” (attacco all’Unione Sovietica) fu differito di cinque settimane, forse decisive.
Hitler, attaccando la Russia, spostò il baricentro della guerra verso Est, a scapito di altri fronti vitali, come quello del Medio Oriente. Si dimentica che l’invio dell’Afrika Korps in Libia (corpo scelto tedesco) aveva una finalità di “sbarramento”, non strategica, per sostenere la posizione di Mussolini, fortemente scossa, dopo i rovesci militari italiani nell’autunno-inverno 1940-41.
Il Giappone – dopo aver invaso la Manciuria, la Cina, l’Indocina – causò, con l’attacco a Pearl Harbor, non soltanto l’intervento degli Stati Uniti, ma convinse l’opinione pubblica americana, sostanzialmente isolazionista, sulla ineluttabilità della guerra.
Inoltre, il Giappone evitò l’annientamento dell’Unione Sovietica con la quale aveva stipulato un Trattato di Neutralità. Con i Tedeschi alle porte di Mosca, lo Stato Maggiore giapponese si astenne dall’attaccare alle spalle l’Armata Rossa, consentendo alle Divisioni “siberiane” di riversarsi a Occidente degli Urali.
Non risponde peraltro a verità che la casta militare giapponese condividesse, tutta intera, l’alleanza con la Germania e con l’Italia 827 settembre 1940).
La Marina (la flotta imperiale era la terza più potente del mondo dopo quelle britannica e americana) era contraria all’alleanza con le Potenze dell’Asse, con una realistica visione dei rapporti di forze.
Si racconta che Yamamoto, ammiraglio comandante in capo della flotta, già addetto navale a Washington e che aveva girato in lungo e in largo gli Stati Uniti, al cospetto del suo Stato Maggiore, versasse un giorno una tazza di tè su un tavolo; il liquido si sparse su. una parte della superficie. “Ecco – disse Yamamoto – noi siamo, con le nostre forze, come questo tè: possiamo occupare una parte, non tutta l’Asia e il Pacifico. Per piegare gli Stati Uniti, dovremmo marciare sulla Casa Bianca. Garantisco un anno, forse un anno e mezzo di successi. Non rispondo del dopo”.
In realtà, l’iniziativa del Giappone durò anche meno. Con la sconfitta di Midway, ai primi di giugno del 1942 (perdita di quattro portaerei di prima classe e del fior fiore dei piloti dell’aviazione navale), iniziò il riflusso della marea.
Isoroku Yamamoto cadde vittima di un’imboscata aerea americana. Fino all’ultimo fu dello stesso parere del ministro degli Esteri inglese, Edward Grey, che aveva sentenziato: “Gli Stati Uniti sono come una gigantesca caldaia: una volta che sotto di essa è acceso il fuoco, non esistono limiti alla potenza che può generare”.